Vampiri. Quelli veri. Quelli insaziabili di profitti, di lauti guadagni, di finanziamenti pubblici. Quelli che dopo aver spremuto sangue, sudore e lacrime dai lavoratori e dalle lavoratrici, li gettano per strada come inutili fardelli. Marchionne si nutre di uno stipendio da 5 milioni di euro, Bernabè di 4 milioni. Il primo, dopo avere chiuso la FIAT a Termini Imerese, ha inaugurato la strategia di sfondamento alla FIAT di Pomigliano: addio a norme e diritti conquistati con decenni di lotte sindacali e sociali e licenziamenti per i lavoratori che non ci stanno (vedi Melfi). Il secondo butta fuori dalla Telecom 3700 lavoratori. In entrambi i casi, questi campioni della borghesia buona, tanto cari al centrosinistra, scaricano sui lavoratori i costi di ristrutturazioni e scalate finanziarie sospinte dalla crisi; eppure queste imprese proprio in piena crisi, grazie ai sostegni di banche e governi, continuano a realizzare sontuosi profitti e dividendi per i propri azionisti ( Telecom quasi 2 miliardi nel 2009). Eccola qui la strategia del vampiro. Ecco il salto di qualità dell’offensiva padronale:
usare la crisi come arma di ricatto sociale e usare oggi -come ieri in passato altri governi e lo Stato tutto- l'esecutivo Berlusconi come strumento di sfondamento politico per delegificare sui diritti nel mondo del lavoro.
Il conto a chi guadagna poco più di mille euro al mese e a precari supersfruttati da 700 euro.
Questa offensiva richiede una risposta di pari radicalità. Di fronte ai ricatti ed ai licenziamenti non c’è nulla da negoziare: occorre battersi per il ritiro dei licenziamenti alla Telecom, per la disapplicazione dell’accordo a Pomigliano. La strada del negoziato a partire dai programmi padronali ha condotto milioni di lavoratori in un vicolo cieco. E’ il momento di mettere in campo la propria forza di lavoratori e lavoratrici per un livello di scontro qualitativamente nuovo, di fronte ad un padronato che si permette di farsi beffa dei lavoratori della Telecom annunciando i licenziamenti nello stesso giorno della sciopero aziendale. I padroni capiscono solo il linguaggio del conflitto, tanto più in tempo di crisi.
La vicenda Inse prima e la vicenda Alcoa poi, dimostrano che solo il conflitto organizzato e frontale porta a risultati: paga solo la lotta che non si fa imbrigliare da regole formali di un gioco truccato, che sfida la “legge” della proprietà, che non arretra di fronte alle minacce e alle intimidazioni dello Stato.
Se l’accordo di Pomigliano verrà generalizzato, occorrerà rispondere con una generalizzazione della lotta Fiat, come segnale indicatore per centinaia di vertenze in corso nella difesa del lavoro, per combattere i licenziamenti con la riappropriazione ed autogestione del lavoro nelle aziende che licenziano. Il coraggio dimostrato da quel 40% di NO operaio a Pomigliano, rivela non solo un dissenso sindacale ma un potenziale di ribellione sociale che prosegue con gli scioperi in corso in tutte le fabbriche FIAT.
A cui occorre dare sostegno e sbocco con mobilitazioni sindacali diffuse, dal basso, ricostruendo alla base la capacità di lotta e di rivendicazione.
Per la partecipazione alle lotte, per la democrazia diretta.
Per il lavoro, per il salario, per i diritti e le libertà sindacali.
Commissione Sindacale FdCA
Luglio 2010
Nessun commento:
Posta un commento