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mercoledì 7 giugno 2017

YEMEN: UNA GUERRA IMPERIALISTA SILENZIATA di Pier Francesco Zarcone




È di questi giorni la notizia che il governo degli Stati Uniti intenderebbe aumentare l'appoggio militare all'Arabia Saudita nella guerra iniziata da questo paese contro lo Yemen. Per la stragrande maggioranza del grande pubblico la notizia può essere sorprendente, giacché il conflitto in corso nello Yemen è quasi una "non-notizia", a motivo di un silenzio pressoché completo dei mass media nostrani. E soprattutto non è detto che i più ne conoscano le cause.

LO YEMEN DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA

Ai nostri fini la sommaria ricostruzione della travagliata e sanguinosa storia dello Yemen può partire dal 1962, quando un golpe militare appoggiato dal Cairo depose l'ultimo monarca, il giovane imam sciita zaydita Muhhammad al-Badr, e venne proclamata la Repubblica. Tuttavia le tribù delle montagne - rifornite dall'Arabia Saudita - continuarono a sostenere il re, con la conseguenza di una sanguinosissima guerra civile in cui intervennero direttamente truppe egiziane (fu il piccolo Vietnam di Nasser). La guerra civile finì al termine degli anni Sessanta (anche a motivo del disimpegno egiziano per la sconfitta nella Guerra dei sei giorni contro Israele) grazie ad accordi tra Il Cairo e l'Arabia Saudita, la quale sostanzialmente "mollò" al-Badr. Quindi la vittoria fu dei repubblicani. Questo per quanto riguarda lo Yemen settentrionale.
Nel Sud controllato dalla Gran Bretagna, che vi aveva costituito una Federazione Araba Meridionale, dal 1963 il Fronte di Liberazione Nazionale (marxista) aveva iniziato la guerriglia contro i Britannici, costringendo infine Londra a concedere l'indipendenza allo Yemen del Sud, dove nel 1967 si costituì la Repubblica Popolare dello Yemen (diventata nel 1970 Repubblica Democratica Popolare dello Yemen), con capitale Aden, che ebbe il primato di essere l'unico Stato comunista del mondo arabo.
Tentativi di unificazione fra le due Repubbliche yemenite risalgono agli inizi degli anni Settanta, ma senza esito fino al crollo dell'Unione Sovietica. Nel 1990 Yemen del Nord e del Sud si riunirono. Un'unione infelice, giacché ben presto i comunisti del Sud si resero conto dell'errore commesso e nel 1994 cercarono di effettuare una secessione. L'esercito rimasto fedele al governo unitario, molto più forte di quello secessionista e appoggiato anche da elementi del Sud, domò la ribellione nel corso dello stesso anno. È interessante notare che i ribelli avevano ricevuto l'aiuto dell'Arabia Saudita che, a prescindere dall'abissale differenza ideologica con costoro, malvedeva l'unificazione yemenita, suscettibile di diventare un polo di attrazione pericoloso per le pretese di egemonia di Riyad sulla Penisola arabica.
A questo punto possiamo saltare fino al presente secolo.

LA RIVOLTA DEGLI HOUTHI

Per capire gli avvenimenti attuali si deve spiegare chi siano gli Houthi e il loro movimento Ansar Allah (italianizzato in Ansarullah), ovvero Partigiani di Dio. Essi fanno parte della consistente minoranza sciita zaydita dello Yemen (un'antica corrente islamica presente solo in questo paese, più affine ai Sunniti che non al resto del mondo sciita, duodecimano e settimano) e prendono il nome dal loro primo comandante militare, Husayn Badr ad-Din al-Houthi. Il movimento Ansar Allah nacque nel 1992, patrocinato dalla famiglia al-Houthi per ridare slancio allo Sciismo zaydita nel paese, ma non solo per questo: erano anche in gioco l'ottenimento di un maggiore spazio per partecipare alla vita politica yemenita e di migliori condizioni per lo sviluppo sociale, nonché il riconoscimento di uno status giuridico per la loro confessione religiosa. Quest'ultimo profilo aveva anche importanti implicazioni economiche in ambito famigliare: ad esempio, per i Sunniti all'erede maschio spetta il doppio della quota della femmina, mentre per gli Houthi l'eredità dev'essere divisa in parti uguali indipendentemente dal sesso degli eredi.
I rapporti col governo yemenita precipitarono dopo l'invasione statunitense dell'Iraq nel 2003 - in quanto gli Houthi si schierarono a favore di Saddam Husayn - e la repressione voluta dal Presidente Abd Allah Saleh portò gli Houthi alla rivolta armata. Essa si inserì attivamente nella più ampia sfera della politica yemenita nel 2011, quando il leader ribelle Abd al-Malik al-Houthi si pronunciò a sostegno del movimento popolare che chiedeva le dimissioni di Saleh. Uscito di scena quest'ultimo alla fine del 2011, l'interim presidenziale fu assunto dal feldmaresciallo Rabbih Mansur Hadi (originario del Sud), che l'anno successivo fu eletto Presidente con mandato biennale - elezioni boicottate dagli Houthi. Contrari alla proroga di un anno al mandato presidenziale, gli Houthi ripresero le armi e nell'autunno del 2014 si impadronirono della capitale yemenita, Sana'a. Rimasto senza sostanziale esito un accordo politico imposto a Hadi, gli Houthi occuparono il palazzo presidenziale, fecero dimettere Hadi, lo imprigionarono, sciolsero il Parlamento e costituirono un Comitato rivoluzionario per governare il paese. A febbraio 2015 Hadi riuscì a fuggire da Sana'a riparando ad Aden, dove si proclamò legittimo Presidente e costituì la sua capitale.
Gli Stati Uniti, l'Arabia Saudita e le monarchie arabe del Golfo dettero il loro appoggio a Hadi. Gli Houthi, oltre a questi nemici, avevano e hanno avversa anche la locale sezione di al-Qaida, che è riuscita a occupare alcune zone nella parte centrale del paese.
Pur non essendo riusciti a occupare Aden, gli Houthi - appoggiati da una parte dell'esercito yemenita, tra cui anche reparti rimasti fedeli all'ex Presidente Saleh - estesero il proprio controllo territoriale, arrivando fino all'importante stretto di Bab el-Mandeb e marciando di nuovo su Aden, si impadronirono dell'aeroporto internazionale e il 25 marzo 2015 costrinsero Hadi a scappare per riparare in territorio saudita.

L'AGGRESSIONE SAUDITA

A stretto giro, cioè il 26 marzo, l'Arabia Saudita annunciò la creazione di una coalizione di Stati sunniti per riportare al potere Hadi, e iniziarono i bombardamenti dello Yemen. La coalizione era nominalmente costituita da Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Kuwait, Qatar, Egitto, Giordania, Sudan e Pakistan, ma in realtà lo sforzo maggiore fu delle truppe saudite.
Ancora una volta risalta l'assenza di una qualsiasi copertura giuridica (anche se formale o formalistica) a tale intervento bellico. Una coalizione palesemente in funzione anti-iraniana, giacché Teheran - per motivi geostrategici, politico-economici e religiosi - sta ovviamente dalla parte degli Houthi. È chiaro d'altronde che una loro vittoria nello Yemen avrebbe conseguenze pericolosissime per l'Arabia Saudita e le petromonarchie arabe, in quanto suscettibile di ridare slancio alle loro minoranze sciite (nel Bahrein gli Sciiti sono maggioranza numerica) oppresse religiosamente, politicamente ed economicamente. Il che altresì significherebbe un'estensione dell'area di influenza iraniana nella regione. Anche per questo - e benché l'Arabia Saudita sia notoriamente la creatrice e finanziatrice di una vasta rete mondiale di moschee e madrase radicali, brodo di coltura per estremisti di vario genere - pure nella questione yemenita essa gode del concreto appoggio occidentale, e particolarmente di Stati Uniti e Francia. Le coste dello Yemen sono sotto blocco navale della Quinta Flotta yankee, e l'aiuto della Francia consiste in rifornimenti e mercenari attraverso la base militare di Gibuti.

LA SITUAZIONE ATTUALE

Sulla carta si sarebbe dovuto trattare di un conflitto di breve durata, non foss'altro per la schiacciante superiorità della coalizione saudita. Tuttavia ancora una volta - e almeno finora - viene dimostrato che è illusorio dare per scontata una vittoria sulla semplice base dei numeri; vale a dire non considerando il fattore umano e le sue reali motivazioni. Chi sta resistendo all'aggressione saudita sa perché e contro cosa combatte; è dubbio invece il grado di consapevolezza delle truppe delle monarchie reazionarie arabe o quale sia il loro supporto morale; mentre sappiamo che i mercenari francesi e i piloti statunitensi nelle fila saudite combattono per bonus di circa 75.000 dollari a missione, e il premio dei loro colleghi sauditi consiste in un'automobile Bentley, concessa dal principe Walid bin Talal.
Fino ad oggi la guerra nello Yemen è stata un totale disastro per i Sauditi e i loro alleati, e intanto la regione dell'Hadramaut è diventata un vero e proprio "santuario" per al-Qaida nella Penisola arabica. Gli Houthi e i loro alleati hanno dimostrato un inaspettato grado di resistenza e di capacità di contrattacco, che per la coalizione si sono tradotti in una gran brutta figura a causa delle inutili perdite di militari e di materiali bellici considerati ultramoderni (al riguardo si ricorda che il quotidiano libanese al-Akhbar ha definito Aden «il cimitero dei carri armati AMX Leclerc», di cui sono tanto fiere le Forze armate francesi). E questo non poteva non ripercuotersi sulla tenuta della coalizione stessa. Infatti Pakistan, Egitto ed Emirati si sono defilati alla grande.
Oggi la capacità di rappresaglia yemenita per gli attacchi aerei sauditi consente di effettuare lanci missilistici che raggiungono anche basi militari in prossimità di Riyad, ma ciò non toglie che, nel silenzio degli organismi internazionali, i Sauditi stiano massacrando lo Yemen dal cielo, creando una situazione di emergenza umanitaria assoluta. A essere bombardate sono perlopiù installazioni civili e centri abitati, oltretutto privi di una vera assistenza sanitaria. I profughi interni sono circa tre milioni e almeno 200.000 persone sono scappate all'estero; le necessità di assistenza alimentare sono elevatissime per circa l'80% della popolazione, insieme alla penuria di acqua potabile, elettricità, combustibili e medicine.
A ennesima dimostrazione dell'inutilità delle organizzazioni internazionali sta il fatto che, avendo iniziato l'Onu a imputare all'Arabia Saudita l'uso di armi non convenzionali come bombe a grappolo e armi chimiche - anticamera per un'accusa di crimini di guerra - da Riyad sia partita la minaccia di ridurre i fondi versati alle Nazioni Unite e a tutte le sue agenzie (UNRWA inclusa), nonché quella di far emettere dagli ulema sauditi una fatwa per attribuire all'Onu la qualifica di «nemico dell'Islam».
Tuttavia sull'Arabia Saudita si addensano anche ombre non previste. Notoriamente gli alleati degli Stati Uniti non possono essere mai sicuri della durata del legame con Washington, non sapendo cioè quando verranno malamente e improvvisamente "scaricati", con o senza copertura giuridica. Intanto una copertura giuridica Washington l'ha messa a punto a carico di Riyad: il 9 settembre dello scorso anno il Congresso degli Stati Uniti ha approvato il Justice Against Sponsors of Terrorism Act (JASTA), che permette di agire contro l'Arabia Saudita per ottenere il risarcimento dei danni causati l'11 settembre 2001 da terroristi che erano di nazionalità saudita. Danni riguardanti 3.000 morti, l'abbattimento del World Trade Center - valutato in 95 miliardi di dollari - e la distruzione e la perdita dei servizi pubblici, per un totale di almeno 3.000 miliardi di dollari! Una "spada di Damocle" è quindi pronta, e chi vivrà vedrà.

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