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per giulio

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domenica 7 febbraio 2016

Il pifferaio magico di Sion (Uri Avnery*)



HAMELIN, una piccola città tedesca (non così distante da dove sono nato), era infestata dai topi. Disperati, i maggiorenti della città chiamarono un acchiappa-topi e gli promisero 1000 fiorini se li avesse liberati da quella piaga.
L'acchiappa-topi prese il suo flauto e si mise a suonare una melodia così dolce che tutti i ratti uscirono dalle loro tane e lo seguirono verso il fiume Weser, dove annegarono tutti.
Una volta liberati da questa piaga, i signori della città non vollero pagare quanto pattuito. Il pifferaio prese di nuovo il suo flauto e suonò una melodia ancora più dolce. Incantati dalle note di quella musica, tutti i bambini della città lo seguirono sino al fiume, dove annegarono tutti.
Binyamin Netanyahu è il nostro pifferaio. Incantato dalla sua musica, il popolo di Israele lo sta seguendo verso il fiume.
Chi si sta rendendo conto di quello che sta succedendo rimane in attesa. Non sa cosa fare. Come salvare i bambini?
Il campo pacifista israeliano è in preda alla disperazione. Nessun salvatore all'orizzonte. Molti non sanno fare altro che stare davanti alla TV a torcersi le mani.
Il dibattito in corso è: la redenzione verrà dall'interno di Israele o dall'esterno?
Il contributo più recente a questo dibattito viene da  Amos Schocken, il proprietario del quotidiano "Haaretz". In uno dei suoi rari articoli ha scritto che solo forze esterne ad Israele possono salvarci.
Per prima cosa voglio dire che stimo Schocken. "Haaretz" ("La Terra") è uno degli ultimi bastioni della democrazia in Israele. Maledetto e detestato dall'intera maggioranza di destra, il giornale guida la battaglia intellettuale per la democrazia e per la pace. E tutto mentre la carta stampata sta vivendo dure ristrettezze finanziarie in Israele come in tutto il mondo. Essendo stato proprietario ed editore di una rivista - che ha perso la sua battaglia- so bene quanto sia eroico e causa di sofferenze fare questo lavoro.
Nel suo articolo Schocken dice che la battaglia per salvare Israele dall'interno è senza speranza e che dunque dobbiamo dare sostegno alle pressioni che giungono dall'estero: a quel movimento in crescita a livello mondiale per boicottare Israele sul piano politico, economico ed accademico.
Un altro israeliano con una certa influenza che la pensa allo stesso modo è Alon Liel, ex-ambasciatore in Sud Africa ed attualmente docente universitario. Sulla base della sua esperienza di diplomatico, Liel afferma che fu il boicottaggio mondiale che mise in ginocchio il regime dell'apartheid in Sud Africa.
Lungi da me contestare la testimonianza di un esperto come Liel. Non sono mai stato in Sud Africa, ma ho avuto modo di parlare con molti protagonisti, neri e bianchi, e mi sono fatto un'opinione un po' differente.
E' molto seducente comparare la situazione di Israele oggi con quella dell'apartheid in Sud Africa. Nei fatti, il paragone è alquanto inevitabile. Ma cosa ci dice?
E' convinzione diffusa in Occidente che fu il boicottaggio internazionale verso l'atroce regime di apartheid sudafricano che ne spezzò le ossa. Si tratta di una convinzione confortante. La coscienza mondiale ha avuto un sussulto ed ha sconfitto i cattivi.
Ma questo è il punto di vista di chi guardava da fuori al Sud Africa. Lo sguardo di chi ci stava dentro appare essere alquanto diverso. Veniva apprezzato l'aiuto della comunità internazionale, ma la vittoria fu tutto merito della lotta della popolazione nera, della sua capacità di resistere, del suo eroismo, della sua tenacia. Facendo ricorso a diversi metodi, dagli scioperi al terrorismo, alla fine hanno reso l'apartheid impossibile.
La pressione internazionale contribuì a far sentire i bianchi sempre più coscienti del loro isolamento. Alcune misure, come il boicottaggio internazionale delle compagini sportive sudafricane, risultarono particolarmente dolorose. Ma senza la lotta della popolazione nera, le pressioni internazionali sarebbero state inefficaci.
Il più grande rispetto è dovuto ai bianchi sudafricani che hanno attivamente sostenuto la lotta dei neri, compresi gli atti di terrorismo, correndo grandi rischi sul piano personale. Molti di loro sono ebrei. Alcuni si sono rifugiati in Israele. Uno di loro era mio amico e vicino di casa, Arthur Goldreich. Per quanto possa sembrare strano, il governo israeliano sosteneva il regime dell'apartheid sudafricano.
Anche da un confronto supeficiale tra i due casi, si può dedurre che il regime dell'aparheid di Israele gode di maggiori vantaggi che non c'erano in Sud Africa.
I bianchi sudafricani al governo erano universalmente detestati perchè avevano abbastanza apertamente sostenuto i nazisti durante la 2GM. Gli Ebrei sono stati vittima dei nazisti. L'olocausto è un volano enorme per la propaganda di Israele. Lo stesso vale per etichettare tutte le critiche ad Israele come anti-semitismo - un'arma molto efficace in questi giorni.
(Vedi il mio ultimo: "Chi è anti-semita? Qualcuno che dice la verità sull'occupazione")
Il sostegno acritico da parte delle potenti comunità ebraiche di tutto il mondo al governo israeliano è qualcosa che i bianchi sudafricani potevano soltanto sognarsi.
E, ovviamente, non c'è nessun Nelson Mandela all'orizzonte. Nemmeno, peraltro, dopo l'isolamento e l'uccisione di Arafat.
Paradossalmente, c'è un po' di razzismo nella convinzione di chi crede che siano stati i bianchi del mondo occidentale a liberare i neri in Sud Africa e non i neri sudafricani a liberare se stessi.
C'è un'altra grossa differenza tra le due situazioni. Induriti da secoli di persecuzioni subite nel mondo cristiano, gli Ebrei Israeliani possono reagire alle pressioni esterne in modo diverso da quello che ci si attende. Le pressioni esterne possono rivelarsi essere controproducenti. Possono ridare fiato a quelle vecchie credenze ebraiche che gli Ebrei sono perseguitati non per quello che fanno, ma per quello che sono. Questo è uno dei principali cavalli di battaglia di Netanyahu.
Anni fa, un gruppo musicale di intrattenimento per l'esercito, cantava e danzava al tempo di una gioiosa canzone che diceva:"Tutto il mondo ce l'ha con noi/Ma a noi non ce ne frega un cazzo…"
Tutto ciò riguarda anche la campagna BDS. 18 anni fa, io ed i miei amici fummo tra i primi a dichiarare il boicottaggio dei prodotti degli insediamenti. Volevamo aprire un cuneo tra gli Israeliani ed i coloni. Ecco perchè non dichiarammo il boicottaggio di Israele in sè, cosa che avrebbe portato la gente comune di Israele nelle braccia dei coloni. Quello che andava boicottato era il sostegno diretto ai coloni.
Questa è ancora la mia opinione. Ma ognuno all'estero fa come vuole. Tenendo sempre in mente però che l'obiettivo principale è quello di influenzare l'opinione pubblica israeliana.
Il dibattito su "interno - esterno" può apparire puramente teorico, ma non è così. Ci sono invece molte implicazioni pratiche.
Il campo pacifista israeliano è in uno stato di disperazione. Le dimensioni e la forza della destra sono in crescita. Quasi ogni giorno, vengono proposte ed approvate nuove odiose leggi, alcune delle quali hanno un inconfondibile aroma fascista. Il Primo Ministro, Binyamin Netanyahu, si è circondato di una stuola di attaccabrighe che vengono soprattutto dal partito Likud, rispetto ai/alle quali egli stesso appare come un liberale. Il principale partito di opposizione nel campo sionista (cioè i laburisti) potrebbero essere definiti come il lato B del Likud.
A parte alcune decine di gruppi minoritari che dimostrano coraggio e fanno un lavoro ammirevole, ognuno nella nicchia prescelta, il campo pacifista è paralizzato dalla propria disperazione. Il suo slogan potrebbe essere "Non c'è più niente da fare". (La cooperazione ebreo-araba in una lotta comune dentro Israele – ora tristemente assente -è pure essenziale)
In questa situazione, l'idea che solo le pressioni dall'estero possano salvare Israele da se stesso può essere confortante. Qualcuno da fuori farà il lavoro al posto nostro. Dunque godiamoci i piaceri della democrazia finchè dura.
So bene che questi non sono i pensieri di Schocken, di Liel e di altri che combattono tutti i giorni la loro battaglia quotidiana. Ma temo che queste possano essere le conseguenze del loro punto di vista.
Dunque, chi ha ragione: coloro i quali credono che solo la lotta da dentro Israele possa salvarci, o coloro che ripongono la loro fiducia interamente nelle pressioni dall'esterno?
La mia risposta è nessuno dei due.
O, meglio, entrambi.
Coloro che lottano all'interno hanno bisogno di tutto l'aiuto esterno che possano ottenere. Tutte le persone etiche in tutti i paesi del mondo dovrebbero ritenere  loro dovere aiutare questi gruppi e queste persone che dentro Israele continuano a combattere per la democrazia, per la giustizia e per l'uguaglianza.
Se gli è cara Israele, dovrebbero correre in soccorso di questi gruppi di coraggiosi, moralmente, politicamente e materialmente.
Ma affinchè le pressioni dall'esterno siano efficaci, devono essere capaci di connettersi con la lotta all'interno, di pubblicizzarla e di guadagnare sostegno per essa. Si può così dare nuova speranza a coloro che ora sono senza. Nulla è più vitale di ciò.
Il governo lo sa. Ecco perchè sta approvando tutta una serie di leggi per isolare i gruppi pacifisti israeliani dal sostegno che ricevono dall'estero.
Facciamo in modo che la buona lotta continui – dentro, fuori, ovunque.
(*) Uri Avnery (1923), pacifista israeliano, fondatore del movimento pacifista Gush Shalom; nel 1982 fece una memorabile intervista ad Arafat
(traduzione a cura di Alternativa Libertaria - Ufficio di Relazioni Internazionali)

2 commenti:

Ilan S. ha detto...

Though a radical... he is still Zionist. He will not support the mass return of refugees which will put end to the majority of the Jews in Israel. The most you can expect from him and his like is unconditional retreat to the pre 1967 conquests.

fiammifero ha detto...

it is a first step at least .. no?

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