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martedì 21 luglio 2015

Del conflitto sociale in epoca di crisi economica: disoccupati e reddito di cittadinanza

by Nesplara (apparso su anarkismo.net) Italia anno 2015: in una crisi economica di cui non si intravede la fine, ma solo le premesse di un peggioramento... l'assoluta assenza di conflitto sociale. Con una disoccupazione giovanile che si attesta intorno al 43% (dato ISTAT marzo 2015), gli unici movimenti sociali degni di nota si limitano al No Expo, al mondo della scuola e ai comitati di difesa del territorio: il fatto che un giovane su due non abbia letteralmente di che campare, senza tener conto di un altro dato inquietante reso noto proprio oggi dall'ISTAT (più di un milione di genitori senza lavoro), non sembra costituire un problema. Fermo restando che il dato di cui sopra potrebbe essere falsato, ma non troppo, dal lavoro in nero, l'assenza di movimenti sociali contro la disoccupazione credo possa dipendere da due elementi. Il primo è, a mio modo di vedere, un elemento per così dire materiale, costituito dal sostegno economico che molti giovani ricevono dalle famiglie, ossia dalla generazione che ha potuto godere di tutte le conquiste ottenute dal movimento dei lavoratori negli anni passati. Il secondo elemento, prettamente politico, è individuabile nel fatto che la disoccupazione è vissuta come una condizione personale, e non percepita per quello che è, vale a dire un importante elemento del sistema di sfruttamento capitalistico. L'assenza di ciò che, in definitiva, è la presa di coscienza da parte del lavoratore disoccupato, porta all'assenza del riconoscimento di un'identità d'interessi e, contestualmente, all'assenza di un'organizzazione di massa di queste soggettività estremamente individualizzate. Attivare e stimolare la presa di coscienza del lavoratore disoccupato, di cui la nascita di un'organizzazione di massa ne è la logica conseguenza, credo sia fondamentale al fine di individuare un soggetto politico veramente in grado di alimentare il conflitto in questa fase dell'economia capitalistica. Nell'ambito di tale processo il cosiddetto reddito di cittadinanza, di cui oggi si riempiono la bocca un pò tutti, può giocare un elemento importantissimo al fine di individuare un obiettivo praticabilissimo ed in grado di garantire un ampio livello di partecipazione. Al contempo, cosa assolutamente non trascurabile da un punto di vista anarchico, qualora tale obiettivo fosse raggiunto da un movimento di massa autorganizzato invece che per il tramite di un qualche partito politico, ciò dimostrerebbe l'efficacia e la praticabilità della prassi libertaria, dando inoltre a tanti giovani quella necessaria speranza di poter cambiare le cose, di poter prendere in mano il proprio destino. Con la conquista del diritto ad un salario minimo o reddito di cittadinanza inoltre, il movimento dei lavoratori potrebbe assestare un duro colpo al capitale, impedendogli di dispiegare quell'esercito industriale di riserva, così numeroso nei periodi di crisi come quello che stiamo vivendo; a sua volta, ciò potrebbe (il condizionale è sempre d'obbligo!) rinvigorire le lotte dei lavoratori attivi, soprattutto precari e sottopagati, che non dovendo più temere lo spettro della povertà, potrebbero iniziare ad organizzarsi nei posti di lavoro, svecchiando finalmente un sindacato fatto ormai solo da pensionati, garantiti e lavoratori pubblici, e dal quale sinceramente il massimo che ci si può aspettare è qualche consulenza per il 730 o una gitarella a Roma.

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