Un lavoro articolato, volutamente puntiglioso, costruito con la volontà di ricercare sentenze, tesi scientifiche tutte a vantaggio dei padroni. La sensazione, a momenti, è che siano i lavoratori morti o ammalati, gli imputati di questo processo.
La Tricom, descritta in poche pagine iniziali, come un ambiente di lavoro infernale, in cui si lavorava tra fumi, fanghi ed esalazioni di cromo, nickel ed altri acidi, passa successivamente e rapidamente in secondo piano, sostituita dalle abitudini di vita dei lavoratori.
Il testo si sposta quindi sull’uso del tabacco. Si vagliano accuratamente le dichiarazioni di lavoratori e famigliari sul numero di sigarette fumate da chi è deceduto o si è ammalato.
Si continua indagando sulle famiglie, su casi di mortalità per neoplasie nell’ambito familiare. I colpevoli della propria morte diventano i lavoratori stessi.
Niente emerge sull’attività, la vita e la condotta degli imputati.
Ecco che il cromo esavalente, riconosciuto sì cancerogeno, diventa in alcuni casi quasi salutare; non ci sono soglie che definiscano quando l’esposizione a queste sostanze diventa pericolosa. Le conclusioni sono che questi lavoratori morti o ammalati sono colpevoli di aver fumato, di aver avuto dei famigliari deceduti per neoplasie e per ultimo di essere stati esposti alle sostanze nocive; ma non abbastanza da giustificare un verdetto di giustizia nei loro confronti. E’ negata ogni ipotesi di concausa tra il fumo di sigaretta e le esalazioni delle sostanze tossiche del processo produttivo.
Netta è l’impressione che, in queste 70 pagine, il giudice ricerchi quelle sentenze favorevoli ai padroni (magari estrapolandone “ad hoc” alcuni passaggi), azzerando la validità di alcune indagini (per esempio quelle epidemiologiche o quelle sulle condizioni di lavoro all’interno dell’azienda).
Infine, il processo civile, vinto dai famigliari di Bonan, non ha alcun peso nella sentenza. E’ palese la contraddizione di un tribunale che, nella sua sezione civile, condanna gli imputati, mentre, in quella penale, li assolve “perché il fatto non sussiste”. Ciò significa che il fatto non c’è. Non ci sono le malattie, non ci sono le morti.
Le nostre valutazioni, espresse a caldo dopo la sentenza, ricevono ulteriore conferma: non è un problema di leggi e norme (in Italia le leggi sulla sicurezza nel lavoro esistono da 60 anni); in realtà il problema è che i padroni sono al di sopra e al di fuori di qualunque legge.
Per noi, al di là di ogni ragionevole dubbio”, questi lavoratori sono morti a causa delle condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti. Questa sentenza è responsabile di far precipitare il livello di attenzione sulle condizioni del lavoro, che negli ultimi anni, in conseguenza di gravi tragedie, aveva conosciuto alti livelli di sensibilizzazione.
Tutto questo mentre i morti sul lavoro e di lavoro continuano a crescere nel nostro paese!
Con queste convinzioni la nostra lotta va avanti. Abbiamo presentato alla Procura Generale di Venezia un’istanza affinché venga impugnata questa sentenza.
Abbiamo convocato per il giorno 30 settembre 2011, a Tezze sul Brenta, sala del Municipio, ore 21, un’assemblea pubblica con i nostri periti ed avvocati, in cui daremo la giusta lettura di questa sentenza e di questa vicenda.
Bassano del Grappa, 14 settembre 2011
Comitato per la Difesa delle Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Tezze sul Brenta e Bassano del Grappa
http://SaluteTezze.Splinder.com
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