Sabato 9 Settembre anche noi saremo a Bologna a
sostenere Làbas e il suo laboratorio sociale, culturale e politico
sgomberato con violenza lo scorso 8 Agosto insieme ad un altro luogo
storico dell’autorganizzazione, il Crash.
Làbas, esperienza solidale ed inclusiva, punto di riferimento della
città, non può essere cancellata per logiche di speculazione e profitto.
Se dall’alto vogliono il deserto e l’abbandono, il quartiere ha
dimostrato di preferire uno spazio che sperimenta cooperazione,
mutualismo ed accoglienza in un mondo che impone miseria, razzismo e
guerra tra poveri.
RiapriAmo Làbas e il Laboratorio Crash!
Alternativa Libertaria Correggio/Reggio Emilia
„La parola comunismo fin dai più antichi tempi significanon un metodo di lotta, e ancor meno uno speciale mododi ragionare, ma un sistema di completa e radicaleriorganizzazione sociale sulla base della comunione deibeni, del godimento in comune dei frutti del comunelavoro da parte dei componenti di una società umana,senza che alcuno possa appropriarsi del capitale socialeper suo esclusivo interesse con esclusione o danno dialtri.“ Luigi Fabbri
per giulio

venerdì 8 settembre 2017
giovedì 7 settembre 2017
Il foglio telematico di Alternativa Libertaria
In questo numero parliamo di costruire reti di solidarietà, di mutualità e autogestione, di monete elettroniche
PER SCARICARLO
http://alternativalibertaria.fdca.it/wpAL/wp-content/uploads/2017/07/luglio2017.pdf
PER RICHIEDERLO
http://alternativalibertaria.fdca.it/wpAL/stampa-fdca/il-foglio-di-alternativa-libertaria/
SCARICALO LEGGILO DIFFONDILO ! AIUTACI A FAR CONOSCERE ALTERNATIVA LIBERTARIA, A SCUOLA, A LAVORO, NEL TUO QUARTIERE... INIZAMO A FARCI SENTIRE !
Economie collettive e solidali, autogestione e mutualismo
Assistiamo ad una risposta sociale del tutto inadeguata alla ampiezza e alla ingiustizia del disagio sociale in atto
La
progressiva scomparsa a livello planetario di un orizzonte comune
alternativo al sistema capitalistico rende più frazionata e complessa la
lotta per la costruzione di una società di libere, liberi ed uguali.
Ciò anche grazie alla trasformazione antropologica in atto (connessa
alla globalizzazione e alle nuove tecnologie digitali che mettono in un
contatto sempre più immediato realtà umane ed ambientali molto
diversificate) che rende ancora più complicate sia la condivisione di
azioni e percorsi condivisi che la semplice comunicazione, ormai
sostanzialmente privata di codici di riferimento comuni, fatta eccezione
del “pensiero unico” capitalistico che trasforma -inesorabilmente-
tutto quello che tocca, in “merce” acquistabile con il denaro.
Sempre
più assistiamo ad un sostanziale allontanamento della prassi delle
istituzioni e di molte organizzazioni partitiche “ufficiali” dalla
difesa dei diritti e dal dare risposta ai bisogni umani primari (diritto
al reddito e alle tutele: malattia, maternità, previdenza; equa
redistribuzione del reddito; formazione…); organizzazioni ormai
sostanzialmente asservite -complessivamente- al mantenimento del regime
capitalistico.
In
queste condizioni, singole persone, anche interessate e disponibili a
partecipare a processi di trasformazione socioeconomica equi e di
interesse generale, non trovano ad oggi molte sedi -affidabili- in cui
essere ascoltate e prese in considerazione. Si diffonde così la perdita
della speranza nella capacità di costruire orizzonti comuni di
emancipazione e prevale la cultura dell’individualismo possessivo, che
fomenta la divisione e la guerra tra poveri, aumentando paura,
insicurezza e “manovrabilità”.
Il nostro contesto
Da tempo partecipiamo, seguiamo, parliamo di forme di economie collettive e solidali.
In effetti queste realtà, nel loro procedere, ci offrono diversi spunti
interessanti di riflessione, per come cercano di costruire possibile
risposte al disagio sociale. esperienze produttive e di vita
in cui protagonisti sociali, persone o organismi collettivi si
confrontano, in modo partecipativo ed orizzontale, nei loro ambiti
naturali (culturali, produttivi, vertenziali, territoriali) innescando
processi propositivi di percorsi di cooperazione e di condivisione
produttiva, distributiva e di servizio:
persone
che vogliono costituire insieme realtà economiche sostenibili, sia dal
punto di vista ecologico che sociale, con una ottica di radicale
alternativa al capitalismo, dando vita, forza e riconoscimento a nuclei
di resistenza attiva connessi in rete, capaci di dare alcune risposte ai
bisogni primari, individuali e sociali; persone intenzionate a
collaborare collettivamente alla conquista di una autodeterminazione
territoriale che permetta a chiunque di vivere una esistenza sempre più
autonoma dai dictact delle multinazionali e delle banche, e capace -nel
tempo- di dare vita ad una “autodeterminazione sociale di esistenza”
sempre più generalizzata,
che fondano
realtà produttive che vivono le dinamiche che le sostanziano, autogestione, mutualismo, ecosostenibilità, il sottrarsi allo sfruttamento e al lavoro gerarchico
e che insieme a
soggetti collettivi, disposti alla relazione circolare e alla co-progettazione verso obiettivi comuni, che partono dai bisogni primari, lavorano con successo alla trasformazione della società, alla difesa dei beni comuni, alla riconquista di forme di lavoro qualificanti, in un quadro autogestionario oltre che solidale
cercano di pensare e costruire
realtà sociali territoriali (ecoreti) che facciano partire sul territorio meccanismi progettuali e decisionali di mutuo sostegno e di trasformazione, realtà che vivono le contraddizioni vecchie e nuove di un potere popolare che acquista coscienza di sé sulla base delle piccole rivendicazioni quotidiane finalizzate ad emanciparci dal giogo dello sfruttamento del profitto capitalistico nelle sue varie forme;
In particolare colpiscono alcuni aspetti che merita citare espressamente.
che fondano
realtà produttive che vivono le dinamiche che le sostanziano, autogestione, mutualismo, ecosostenibilità, il sottrarsi allo sfruttamento e al lavoro gerarchico
e che insieme a
soggetti collettivi, disposti alla relazione circolare e alla co-progettazione verso obiettivi comuni, che partono dai bisogni primari, lavorano con successo alla trasformazione della società, alla difesa dei beni comuni, alla riconquista di forme di lavoro qualificanti, in un quadro autogestionario oltre che solidale
cercano di pensare e costruire
realtà sociali territoriali (ecoreti) che facciano partire sul territorio meccanismi progettuali e decisionali di mutuo sostegno e di trasformazione, realtà che vivono le contraddizioni vecchie e nuove di un potere popolare che acquista coscienza di sé sulla base delle piccole rivendicazioni quotidiane finalizzate ad emanciparci dal giogo dello sfruttamento del profitto capitalistico nelle sue varie forme;
In particolare colpiscono alcuni aspetti che merita citare espressamente.
Il lavoro
In primo luogo l’idea del lavoro che in queste realtà che sperimentano forme di economia solidale, riacquista la sua dignità, cercando di sfuggire almeno in parte all’ alienazione sia da un punto di vista economico, sottraendosi allo sfruttamento e all’estrazione di plusvalore da lavoro dipendente, sia con il recupero del lavoro come momento creativo e non eterodiretto. Così l’oggetto del prodotto del lavoro stesso tende ad allontanarsi dal concetto di “merce” acquistabile al minor prezzo possibile, ricollegandosi alla vita della persona -in carne ed ossa- che mette a disposizione tempo, attività e saperi, per rispondere al bisogno di un’altra persona; spostando quindi l’attenzione in direzione del rispetto dei diritti e dei doveri delle persone coinvolte nello scambio di beni e/o servizi; ma con l’intenzione di determinare insieme il valore dello scambio: delle cose, delle ore e del lavoro impiegato per produrle; a prezzi equi per la produzione ma anche accessibili a chi si rende disponibile a mettersi in gioco in una “relazione circolare”, impegnandosi ad un loro uso o acquisto prefissato. In questa dinamica cresce la spinta a un superamento della dimensione lavorativa individuale o familiare verso forme di condivisione di risorse e, in prospettiva, di proprietà e gestione collettiva.
In primo luogo l’idea del lavoro che in queste realtà che sperimentano forme di economia solidale, riacquista la sua dignità, cercando di sfuggire almeno in parte all’ alienazione sia da un punto di vista economico, sottraendosi allo sfruttamento e all’estrazione di plusvalore da lavoro dipendente, sia con il recupero del lavoro come momento creativo e non eterodiretto. Così l’oggetto del prodotto del lavoro stesso tende ad allontanarsi dal concetto di “merce” acquistabile al minor prezzo possibile, ricollegandosi alla vita della persona -in carne ed ossa- che mette a disposizione tempo, attività e saperi, per rispondere al bisogno di un’altra persona; spostando quindi l’attenzione in direzione del rispetto dei diritti e dei doveri delle persone coinvolte nello scambio di beni e/o servizi; ma con l’intenzione di determinare insieme il valore dello scambio: delle cose, delle ore e del lavoro impiegato per produrle; a prezzi equi per la produzione ma anche accessibili a chi si rende disponibile a mettersi in gioco in una “relazione circolare”, impegnandosi ad un loro uso o acquisto prefissato. In questa dinamica cresce la spinta a un superamento della dimensione lavorativa individuale o familiare verso forme di condivisione di risorse e, in prospettiva, di proprietà e gestione collettiva.
L’intenzione di migliorare la propria qualità della vita
Questo
nuovo tipo di unità produttive -interessate ad organizzarsi per
rispondere al meglio ai propri bisogni vitali quotidiani- costituite da
persone che si relazionano tra di loro per migliorare la propria qualità
della vita, favorisce relazioni di scambio centrate sulla persona nella
sua globalità e non come “strumento” -più o meno occasionale- da usare
per raggiungere il proprio esclusivo interesse; cioè con modalità sempre
più vicine alle esigenze di autodeterminazione esistenziale, propria ed
altrui; “irriducibili” quindi al capitalismo, forma esclusiva -e cieca-
di accumulazione del profitto fine a se stesso;
Lo sviluppo della coscienza politica
La
relazione circolare tipica dell’eco-rete, centrata sul soddisfacimento
dei bisogni sociali primari, individuali e collettivi e
sull’integrazione tra lavoro e vita attraverso una pratica organizzativa
continuativa in comunità tendenzialmente solidali e di mutuo soccorso,
può diventare fattore di sviluppo di una presa di coscienza politica,
nel momento in cui sia possibile verificare concretamente l’efficacia di
alleanze ampie funzionali al raggiungimento di obiettivi specifici.
Cioè quando si possono sperimentare -concretamente- situazioni in cui le
proprie esigenze vitali possono essere soddisfatte meglio se si
riescono a costruire alleanze di scopo o patti territoriali per la
trasformazione sociale e ambientale dei territori.
Si
viene allora ad acquisire una maggiore consapevolezza delle difficoltà
reali connesse alla realizzazione di un progetto, facilitando la
riconquista della fiducia nella relazione e in una progettualità
assembleare e orizzontale, autogestita e solidale. Queste
sperimentazioni possono assumere un ruolo prefigurativo dove far
crescere forme di solidarietà sociale e di diversi rapporti di
produzione e di orientamento e gestione del territorio su basi
federaliste e libertarie, per riguadagnare nell’orizzonte del possibile
una società più giusta e solidale.
Appello di solidarietà dal Sudafrica– I ‘quattro di Boiketlong’ e la criminalizzazione della povertà e della protesta: Libertà per Dinah e Sipho, giustizia per Papi!
Quattro attivisti di Boiketlong in the Vaal, a sud di
Johannesburg, sono stati condannati a 16 anni di carcere per quanto
avvenuto durante una protesta per il diritto alla casa e lo sviluppo
della township, sulla base di una legge dell’apartheid del 1973 nota
come “proposito comune”. Anche senza alcuna evidenza che collegasse i
quattro agli atti accaduti (l’attacco al consigliere locale dell’ANC e
l’incendio della sua abitazione) senza testimoni che potessero
collocarli sulla scena al momento dei fatti, tutti e quattro sono stati
giudicati colpevoli semplicemente per il loro ruolo di leaders della
comunità. Un anno dopo i fatti, nel 2016, è scomparso in circostanze
misteriose anche Papi Tobias, un importante testimone che poteva
dimostrare che almeno una di loro, Dinah Makhetha, non era neanche
presente in quella protesta.
Papi, padre di tre figli, è stato un attivista
comunitario della lotta per la casa e per lo sviluppo della township,
spesso alla guida delle proteste per l’ottenimento dei servizi
pubblici.
Membro del comitato per la raccolta fondi per le
spese legali dei 4 di Boiketlong, sei giorni prima della sua scomparsa,
aveva lanciato pesanti accuse contro il comitato stesso, per un cattivo
uso dei soldi raccolti per la difesa dei 4 di Boiketlong e accusando il
comitato di non essere autonomo ma controllato dall’ANC, ribadendo la
sua disponibilità a testimoniare che Dinah non era presente nei pressi
dell’abitazione del consigliere quando fu appiccato il fuoco, e che lei e
gli altri 3 furono accusati ingiustamente.
Si suppone che uno dei membri del comitato sospettato
del cattivo uso dei fondi, un leader locale dell’ANC e membro del
Boiketlong Concern Group, dominato dall’ANC, sia dietro la scomparsa di
Papi insieme a al brigadiere Scheepers (ultimo ad avere visto vivo Papi)
e al sindaco della municipalità locale di Emfuleni, Simon Mofokeng.
Poco prima della sua scomparsa, il cane di Papi fu
ucciso e un membro del Boiketlong Concern Group disse che circolavano
delle voci sul fatto che la vita di Papi fosse in pericolo.
Papi è ormai scomparso da più di un anno e si crede
che sia morto. La sua scomparsa e la sua sospetta morte hanno quasi
certamente una motivazione politica e sono collegati al suo ruolo nelle
lotte per i servizi pubblici, la casa e lo sviluppo della township, e
per la dichiarazione circa la presunta corruzione o un cattivo uso del
denaro raccolto per le spese legali dei 4 di Boiketlong, da parte del
sindaco e dei membri del comitato per la raccolta fondi.
Gli investigatori che seguono il caso sembrano aver
fatto pochi sforzi per stabilire il destino di Papi o la sua ubicazione,
e nessuna indagine sembra essere in corso. A tutt’oggi nessuno è stato
arrestato o accusato in relazione alla scomparsa di Papi.
Rilasciati su cauzione dopo 9 mesi di carcere, a
giugno 2017 due degli accusati, Dinah e Sipho Manganye sono dovuti
tornare in cella durante il processo di appello, (Pulane Mahlangu non si
è presentato all’udienza ed è attualmente latitante mentre Dan Sekuti
Molefe, già sofferente prima dell’arresto, non ha retto alle ingiuste
accuse e si è suicidato).
Parliamo quindi di attivisti impegnati nella protesta
della comunità per il diritto alla casa, lo sviluppo della township e
per quello che il governo dell’ANC ha promesso loro (e alla classe
lavoratrice nera del Sud Africa) per oltre 20 anni. L’essere poveri e il
combattere per cambiare la loro condizione e risollevare loro stessi e
la loro comunità è il loro solo crimine.
Si pensa che essi siano stati oggetto di una manovra
politica dello stato, su richiesta della locale sezione dell’ANC, per
sopprimere e criminalizzare le loro attività, a causa del loro ruolo di
opposizione alle politiche contro i poveri, implementate dal governo
neoliberale dell’ANC, e per aver evidenziato e combattuto la corruzione
della classe politica locale.
Non sono criminali, sono prigionieri politici della lotta di classe.
Sono stati accusati ingiustamente a causa del loro
ruolo nella proteste comunitarie, causate da un trattamento ingiusto,
corruzione e malgoverno. La classe lavoratrice nera in Sud Africa ha
sofferto abbastanza il peso della povertà e della disuguaglianza, ma
quando scendiamo in strada per protestare, soffriamo la potente
repressione dello stato e la brutalità della polizia. I politici, che si
suppone siano al potere al servizio della comunità, presto se lo
dimenticano a causa del fatto che iniziano a vivere nel lusso.
Così come molte townships, aree rurali e comunità
povere in tutto il Sud Africa, la classe lavoratrice nera e povera della
comunità di Boiketlong ha per molto tempo sofferto per le promesse non
mantenute dal governo dell’ANC. Fin dalle prime elezioni multirazziali
del 1994, l’ANC è stato ripetutamente rieletto sulla base di vuote
promesse di creazione di lavoro, servizi e sviluppo e ristrutturazione
delle townships e delle altre aree degradate, che hanno per lungo tempo
sofferto dell’assenza di adeguati e accessibili servizi igienici, acqua,
elettricità e abitazioni, così come di educazione, salute, ecc., parte
dell’eredità del colonialismo e di capitalismo e apartheid.
Dovendo affrontare il crescente malcontento e la
protesta in risposta alla mancanza di volontà politica e inadeguatezza, a
causa delle politiche neoliberali adottate, senza neanche intraprendere
il tentativo di rispettare le proprie promesse e implementare uno
sviluppo su larga scala, la ristrutturazione delle townships, la riforma
agraria, la creazione di lavoro e servizi, il governo dell’ANC sta
costantemente rispondendo con la criminalizzazione della protesta e dei
poveri, al fine di sopprimere e contenere le lotte sociali e la
resistenza della classe lavoratrice.
Questo a causa dei due processi in cui la classe
politica è coinvolta: usare lo Stato per accumulare ricchezza privata, e
far rispettare le politiche neoliberali di redistribuzione verso l’alto
della ricchezza, dalla classe lavoratrice nera verso la classe
dominante, fatta di bianchi, e ora neri, capitalisti privati così come
politici e dirigenti pubblici.
In questo modo è possibile recuperare e mantenere i
profitti trasferendo i costi della crisi economica sulla classe
lavoratrice, in particolare sui neri. Questo viene fatto mediante la
commercializzazione e la privatizzazione, la flessibilità del lavoro, le
politiche di austerità e i tagli sulla spesa pubblica,
l’esternalizzazione e le aggressive misure di recupero dei costi.
A livello locale, l’esternalizzazione ha portato a
contratti e gare per l’edilizia, i servizi e lo sviluppo di
infrastrutture dispensati a individui e proprietari di società,
politicamente connessi in particolare alla nuova BEE (Black Economic
Empowerment) élite che ha prodotto nepotismo, corruzione e clientelismo
su larga scala. Al fine di fare quanto più profitto possibile attraverso
questi contratti, questa nuova élite economica nera abbatte i costi
attraverso lo sfruttamento dei lavoratori, usando materiali più a buon
mercato e risparmiando su sicurezza e standards. Questo è il motivo del
perché tante case presentano lesioni e cadono a pezzi, e i servizi nelle
townships sono così terribili.
La classe politica a livello locale, provinciale e
nazionale, sia dell’ANC che, in alcune aree, della DA (ndt Alleanza
democratica, principale forza di opposizione), usa il controllo e
l’accesso alle risorse statali al fine di accumulare ricchezza privata e
consolidare il proprio potere e controllo dello stato e delle sue
risorse. Questo è il significato di “corruzione”, e viene fatto a spese
della classe lavoratrice nera e dei poveri, che non ottengono niente al
di là di abitazioni e servizi di qualità scadente e repressione statale,
qualora si ribellino.
Questo può finire solo tramite una coerente e
indipendente lotta di classe e resistenza ed è ciò che la classe
dominante teme, e il motivo per cui lo Stato e l’élite politica che lo
controlla stanno costantemente ricorrendo alla criminalizzazione della
povertà e della protesta, al fine di sopprimere la resistenza della
classe lavoratrice.
Il governo dell’ANC vuole, tramite l’esempio dei
quattro di Boiketlong, lanciare un forte messaggio ai poveri, ai
disoccupati e alla gioventù emarginata che guida e partecipa alle
proteste per la terra e la casa, per il lavoro e i servizi.
Il messaggio è che se osi organizzare o partecipare
alle lotte sociali per i tuoi diritti, esporti in prima persona o
semplicemente prendere posizione contro la crescente corruzione
dell’élite politica, sarai colpito rapidamente e duramente. Le pesanti
sentenze comminate ai quattro di Boiketlong, nonchè il rifiuto della
scarcerazione su cauzione e del permesso all’appello, sono tutti
finalizzati a intimidire e scoraggiare altri dalla resistenza e dalla
protesta indipendente della classe lavoratrice.
E’ quindi di estrema importanza che i/le militanti
della lotta di classe facciano qualsiasi cosa, compatibilmente con i
loro mezzi, per sostenere la compagna per la revoca della condanna e
della sentenza, perché se non lo facciamo, lo Stato sudafricano userà
questo caso come un precedente al fine di criminalizzare ulteriormente
la povertà e la protesta, e altre persone saranno trascinate in prigione
sulla base di presunte accuse e colpite con dure sentenze per il fatto
di protestare contro la loro povertà e combattere per i loro diritti.
Facciamo appello ai nostri compagni e alle nostre
compagne, alleati e alleate, e a tutte le persone che nel mondo amano la
libertà e la giustizia affinché si dimostrino solidali con Sipho e
Dinah e chiedano giustizia sia per loro che per Papi.
LIBERTÀ PER DINAH AND SIPHO! GIUSTIZIA PER PAPI!
STOP ALLA CRIMINALIZZAZIONE DELLA POVERTÀ E DELLA PROTESTA!
DIFENDIAMO IL NOSTRO DIRITTO ALLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE, ASSOCIAZIONE E PROTESTA!
Cosa si può fare:
-
Diffondere quest’appello di solidarietà sui social media e nelle vostre organizzazioni, reti e movimenti;
-
Scrivere lettere e articoli sul caso e pubblicarli sulla stampa alternativa e, dove possibile, sui principali quotidiani, riviste, ecc.;
-
Discutere del caso e dell’appello di solidarietà su podcasts e radio comunitarie, durante incontri comunitari, studenteschi e di lavoratori e lavoratrici;
-
Fare foto delle attività e delle azioni di solidarietà, o di voi stessi o della vostra organizzazione con manifesti e cartelli, recanti messaggi di supporto o di richiesta di scarcerazione di Sipho e Dinah e di revoca della loro condanna, e pubblicatele sui social media con i sottostanti hashtags e handles;
-
Scrivere lettere di supporto a Dinah, Sipho e/o alla famiglia di Papi, e scrivere mails agli indirizzi zacf@riseup.net e orangefarmadvicecentre@gmail.com, da cui poi verranno loro trasmesse;
-
Fare pressione sul Legal Aid SA affinché venga data priorità al caso, tramite telefonate, inviando loro emails e fax;
-
Far sapere al governo del Sud Africa che il caso è giunto alla ribalta internazionale, telefonando, scrivendo emails e fax alla Presidenza e al Dipartimento di Giustizia e Sviluppo Costituzionale, per chiedere che la loro condanna venga revocata, le accuse ritirate e affinché venga effettuata un’indagine sul destino di Papi Tobias.
Sui social media usa gli hashtags #Boiketlong4Solidarity #Boiketlong4 #FreedomforDinahandSipho #JusticeforPapiTobias
Su Twitter usa gli handles @PresidencyZA @GovernmentZA @EmfuleniLM @DOJCD_ZA @LegalAidSA1 @ZabalazaNews
INDIRIZZI UTILI
Presidenza della Repubblica Sudafricana
Tel: +27 12 300 5200
Fax: +27 12 323 8246
Email: president@presidency.gov.za
Ufficio del Vicepresidente Cyril Ramaphosa
Tel: +27 12 308 5316
E-mail: Deputypresident@presidency.gov.za
Ministro della Giustizia e dei Servizi di correzione
Tel: +27 12 406 4669
Fax: +27 12 406 4680
E-mail: ministry@justice.gov.za
Viceministro per la Giustizia e lo Sviluppo Costituzionale
7Tel: +27 12 406 4854
Fax: +27 12 406 4878
E-mail: deputyminister@justice.gov.za
Sede centrale del Legal Aid South Africa
Tel: +27 11 877 2000
Centro di Giustizia di Pretoria del Legal Aid SA
Tel: +27 12 401 9200
Fax: +27 12 324 1950
Centro di Giustizia di Vereeniging del Legal Aid SA
Tel: +27 16 421 3527
Fax: +27 16 421 4287
L’accordo in preparazione tra l’UE e la Libia è un crimine contro l’umanità!
Comunicato di DEFEND MEDITERRANEA*, rete
mediterranea solidale ed antifascista contro la spedizione identitaria
Defend Europe e contro il progetto di fortezza Europa
Un
anno e mezzo dopo l’accordo disastroso tra l’Unione Europea e la
Turchia, che ha portato alla moltiplicazione di campi terribili e
insopportabili in Grecia e in Turchia, i leader del continente più ricco
della Terra stanno per dare il peggio di sè.
Questa
volta, sulle coste africane, è in corso il progetto Fortezza Europa, in
collaborazione con il regime fantoccio libico e su iniziativa del
presidente francese, in cambio di enormi risorse militari e di una
grande somma di denaro che può essere tre volte superiore ai sei
miliardi di dollari offerti al Dittatore Erdogan nel 2016.
Nell’ambito
della preparazione del presente accordo, le navi militari italiane
hanno aumentato il numero delle loro pattuglie verso il sud e la Libia,
modificando in modo unilaterale i limiti delle acque territoriali da 12 a
70 miglia nautiche. Al tempo stesso, le autorità italiane hanno
sequestrato un’imbarcazione di soccorso di una ONG e arrestato il suo
equipaggio, mentre alcune miglia più a sud, al largo delle coste di
Zuwarah, le guardie costiere libiche hanno sparato proiettili veri per
respingere un’altra imbarcazione di soccorso.
Nel
frattempo, una spedizione di miliziani fascisti navigava liberamente
sul Mar Mediterraneo senza incontrare altri ostacoli che noi, attivisti
antifascisti, che per diverse settimane, gli abbiamo causato problemi ed
ogni possibile ostacolo: paure, cancellazioni, perdite, cambiamenti di
rotta, guasti del motore, rendendoli un po’ ridicoli.
Diverse
persone responsabili di questa nave anti-migranti sono state
improvvisamente liberate dalla loro custodia nel nord di Cipro,
territorio sotto il controllo di Erdogan, nonostante il fatto che le
accuse contro di loro fossero molto gravi e l’inchiesta fosse stata
prolungata. I richiedenti asilo Tamil che hanno denunciato la truffa
sono stati deportati in Sri Lanka. Dopo, malgrado le dichiarazioni
xenofobe, le minacce esplicite e il mancato rispetto dei regolamenti
marittimi, questi fascisti non sono mai disturbati dalle autorità che
hanno deciso evidentemente di far loro proseguire i loro progetti.
Molti ministri dell’Unione Europea hanno anche espresso la loro benevolenza nei confronti di questi miliziani fascisti di Defend Europe e persino il ministro degli Interni austriaco si è congratulato con loro.
Molti ministri dell’Unione Europea hanno anche espresso la loro benevolenza nei confronti di questi miliziani fascisti di Defend Europe e persino il ministro degli Interni austriaco si è congratulato con loro.
In
risposta a questa violenza in corso, le navi delle ONG sono state
costrette una dopo l’altra a lasciare la principale zona di ricerca e
salvataggio, lasciando le imbarcazioni dei migranti nelle mani dei
fascisti europei e della guardia costiera libica purtroppo ben nota per
il suo racket, l’uso della tortura e la pratica dei sequestri. Mentre
testimoniamo la morte di migliaia di migranti negli ultimi mesi (più di
2200 quest’anno e 4500 lo scorso anno), mentre tutte le navi di
salvataggio erano ancora lì, è difficile immaginare la portata del
disastro umanitario futuro per decine di migliaia di famiglie che
continuano a fuggire dalla guerra, dalla povertà e dalla repressione.
Infatti,
finché la giustizia e l’uguaglianza non saranno stabiliti in questi
paesi, nulla impedirà l’immigrazione umana. Fintanto che i
neocolonialisti europei perseguiranno il loro progetto di far diventare
l’Africa un vasto campo di rovine, nulla impedirà a queste famiglie di
voler sfuggire alla guerra, alla morte e alla violenza. Niente
respingerà gli oppositori politici e le minoranze etniche o religiose
che fuggono dalle persecuzioni mentre il silenzio complice dei leader
occidentali li circonda. Nulla è più spaventoso per intere popolazioni, e
tra loro per donne e bambini, che essere picchiati, violentati,
reclutati con forza in eserciti o costretti a lavorare nei campi (molti
casi lo hanno riferito). Soprattutto, nessuno può negare che la storia
umana sia stata modellata da viaggi, odissee e migrazioni.
Per quanto tempo ancora l’Europ continuerà a costruire muri e scudi di ferro?
In ogni modo, il
prossimo accordo tra l’Unione Europea e la Libia è un crimine contro
l’umanità, sia per gli individui che fuggono da una vita insopportabile
che per gli individui che fuggono ad ogni costo, ma che muoiono su un
percorso pericoloso e difficile.
Nelle
ultime settimane, abbiamo fatto del nostro meglio per impedire a questa
nave fascista (o almeno rallentarli) di fermare le missioni di soccorso
delle ONG e salvare i nostri fratelli e sorelle in mare aperto. Ma,
nonostante le nostre azioni, affrontando forze colossali, testimoniando
le grottesche agitazioni di questi balordi, non pensiamo che otterremo
molto.
Ecco
perché, con questo comunicato, abbiamo deciso di avvertire il maggior
numero possibile di persone perché è nostro dovere e nostra
responsabilità, ovunque siamo, in Europa o in Africa, di opporsi contro
questo nuovo muro tra di noi. Un muro fatto di lacrime e sangue. Ogni
muro, è un muro di troppo.
Contro
questo muro e coloro che governano per impaurirci e dividerci, agiamo
insieme, attraverso il Mar Mediterraneo, da Parigi a Tunisi, da Tripoli a
Roma e oltre.
La lotta continua!
*DEFEND MEDITERRANEA è una rete antifascista, antirazzista e solidale
di attivisti del Mediterraneo che si sono impegnati nel bloccare la
nave C-star a Suez, poi a Cipro e nell’impedirgli di fare scalo a Creta,
in Sicilia ed in Tunisia.
(traduzione a cura di Alternativa Libertaria – Ufficio Relazioni Internazionali)
Etichette:
alternativa libertaria ufficio internazionale,
antifascismo,
c star,
defend europe,
Erdogan,
Libia,
migranti,
ONG,
UE
Iscriviti a:
Post (Atom)